L’introduzione nel catalogo dei reati-presupposto del D.Lgs. 231/2001 dei reati colposi commessi con violazione delle norme sulla sicurezza e salute sul lavoro fa sorgere non facili problemi di coordinamento con le norme di carattere generale contenute nel decreto stesso.
Infatti, i delitti colposi, inseriti in un contesto concepito solo per gli illeciti penali di natura dolosa, appaiono incompatibili con il dettato dell’art. 5, comma 1, del decreto in oggetto che fissa nell’interesse o nel vantaggio per l’ente il criterio in base al quale è possibile ascrivere all’ente, sul piano oggettivo, la responsabilità diretta per il reato commesso da persone che, nell’ambito della sua struttura organizzativa, si trovano in posizione apicale ovvero da persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza.
L’autore sottolinea che la colpa risulta incompatibile con un atteggiamento finalistico diretto a favorire l’ente, per cui viene meno il requisito dell’interesse; l’ente, inoltre, non potrà mai aver tratto un vantaggio dalla morte o dalle lesioni di un dipendente dovute a comportamenti colposi di chi era tenuto a rispettare le norme antinfortunistiche all’interno della sua struttura: in tal caso saranno semmai le violazioni a tali norme ad essere state commesse nell’interesse o a vantaggio dell’ente (perché, ad esempio, possono avere comportato minori costi e quindi un risparmio per l’ente).
Solo tali violazioni, quindi, possono essere volontariamente poste in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
L’autore sostiene quindi che per rendere applicabile l’art. 25-septies del decreto 231, si potrebbe ritenere che l’interesse o il vantaggio si riferiscano non già ai reati di omicidio colposo o di lesioni colpose, ma più propriamente all’attività d’impresa svolta per l’ente, nell’ambito della quale, con condotta colposa, si sono verificati tali reati.
L’autore ritiene che tale interpretazione non possa essere sostenuta, invece, con riferimento alle norme che pongono alcune regole generali in tema di applicazione delle sanzioni interdittive (art. 12 e art. 13 D.Lgs. 231/01), per cui, per i reati colposi in parola, molto difficilmente potranno essere applicate nei confronti degli enti le sanzioni interdittive.
Ciò potrebbe avvenire solo nel caso si riscontrasse una reiterazione degli illeciti (art. 13, comma 1 lettera b), essendo inapplicabili invece sia l’art. 13, comma 1 lettera a, perché l’ente non può avere tratto dai reati di omicidio colposo o lesioni colpose un “profitto di rilevante entità”; sia l’art. 12, comma 1 lett. a, in quanto non è pensabile che il soggetto responsabile di tali reati possa avere commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi né che da tali reati l’ente possa aver ricavato vantaggio o un vantaggio minimo.
Il decreto 231 in panne sulla sicurezza lavoro, di Luigi Domenico Cerqua, in Il Sole 24 Ore, 15 agosto 2008, pag. 21
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