Con sentenza n. 36083 del 2009, la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva una Spa al pagamento di 50mila euro per aver ricevuto vantaggio dal reato di corruzione del quale era stato ritenuto responsabile il suo rappresentante legale.
Contro la sentenza del giudice di merito che gli aveva attribuito una “rimproverabilità” per non aver adottato un modello organizzativo idoneo ex decreto 231/2001, l’ente ha fatto ricorso cercando di sostenere una lettura del decreto 231 meno vincolante, in base alla quale il decreto stesso non avrebbe introdotto un obbligo all’adozione dei modelli, che invece costituirebbero solo una condizione esimente della responsabilità.
Di diverso avviso la Suprema Corte, la quale sostiene che grava sulla società l’onere di provare di avere adottato tutte le misure organizzative idonee a impedire la commissione di reati analoghi a quello verificatosi.
Dall’esame del decreto 231, infatti, scaturisce il principio di diritto secondo il quale l’ente che abbia omesso di adottare e attuare il modello organizzativo e gestionale non risponde del reato commesso dal suo esponente apicale soltanto nell’ipotesi in cui il reato è stato commesso dal soggetto nell’esclusivo interesse proprio o di terzi, senza alcun vantaggio per l’ente.
Modelli organizzativi vincolanti nelle società, di Giovanni Negri, in Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi, 9 febbraio 2010, pag. 31
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