La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27735 della sesta sezione penale (depositata il 16 luglio scorso), ha precisato che tocca all’accusa dimostrare il collegamento tra il reato commesso dal manager e la colpa organizzativa della società, in maniera tale da poterne chiedere la sanzione.
Nella fattispecie, La Corte si è pronunciata con riferimento a un procedimento per corruzione in materia di appalti nella sanità pubblica, respingendo una serie di questioni di legittimità costituzionale del decreto 231/2001 chiarendo che:
- il decreto 231 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico un terzo genere di responsabilità, diversa sia da quella penale che da quella amministrativa, che porta l’ente a rispondere per fatto proprio a causa del rapporto di immedesimazione società-amministratore; non lede quindi il principio costituzionale secondo cui la responsabilità penale è personale;
- quella sancita dal decreto 231 non è nemmeno una responsabilità oggettiva, in quanto presuppone una colpa di organizzazione dell’ente nel non avere predisposto adeguati modelli organizzativi diretti ad evitare la commissione di reati del tipo di quello effettivamente verificatosi;
- spetta all’accusa provare l’illecito penale in capo alla persona inserita nei vertici aziendali e il fatto che questa abbia agito nell’interesse dell’ente, così come spetta all’accusa dimostrare la carenza di un’adeguata organizzazione interna alla società. Il reato commesso dal manager nell’interesse della società va infatti considerato “proprio” di quest’ultima, agendo la persona fisica che opera nell’ambito delle sue competenze societarie a vantaggio dell’ente come organo e non come soggetto da questo distinto.
Responsabilità delle società con la prova del pm, di Giovanni Negri, in Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi, 17 luglio 2010, pag. 23
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11 anni fa
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